domenica 29 gennaio 2012

Balance And Composure, pezzi da 90

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Mi sono imbattuto quasi per caso nei Balance and Composure, quintetto originario di Doylestown, anonima cittadina americana ad un'ora di macchina da Philadelphia. La folgorazione è stata immediata: muri di chitarre (tre per l'esattezza), voce graffiante e melodica allo stesso tempo, sincerità, sudore e soprattutto un gusto di livello superiore. L'album si intitola Separation ed è la prima prova sulla lunga distanza dopo un paio di EP: 48 minuti, 12 canzoni, 12 ritornelli fulminanti, di quelli che si trasferiscono nel cervello e non se ne vanno più.

Alla fine di Galena il cantante/chitarrista Jon Simmons canta "No, I don't belong here". Sì perché i B&C sembrano usciti direttamente da quelli che ormai possiamo già definire i mitici anni 90. Le influenze sono davvero tantissime: Nirvana, Brand New, Hundred Reasons, Blink 182 (!), Moving Mountains e potrei andare avanti per ore. La sensazione ascoltando Separation è infatti duplice: da una parte ci si rende conto di non essere dinanzi a nulla di nuovo, dall'altra non si riesce a non schiacciare PLAY per l'ennesima volta.

Come di consueto il successo nel paese dello zio Sam non sta tardando ad arrivare: acclamati da critica e pubblico i B&C lo scorso anno sono già andati in tour di supporto a Dredg e La Dispute, non certo gli ultimi arrivati. Semisconosciuti qui da noi sono comunque stati avvisati il mese scorso nell'hinterland milanese per una data al Bloom. Li ri-aspettiamo a braccia aperte.
   

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lunedì 1 agosto 2011

Moving Mountains, cavalcando le onde

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Nel 2007 i Moving Mountains fecero il debutto sulle scene con Pneuma, tradotto dal greco "spirito", "respiro", "soffio vitale". La sensazione era effettivamente quella, strutture e suoni tipicamente post-rock mischiate con parti vocali e sonorità di derivazione emocore: finalmente qualcosa di nuovo, particolare e allo stesso tempo incredibilmente bello. Impressionante poi il fatto che i MovMou fossero ancora al liceo (!) ai tempi di Pneuma.

A 4 anni di distanza il quartetto newyorkese torna sulle scene con Waves, già una delle migliori uscite del 2011. L'impressione è di trovarsi davanti ad un perfetto album di alternative rock degli anni 2010: melodico, ricercato, energico ed estremamente omogeneo in tutti i suoi pezzi. Ammetto di essere monotono per quanto riguarda i paragoni ma la presenza dei Thrice (in uscita anche loro col nuovo album il 20 settembre) è innegabile, soprattutto nella parti vocali più tirate.

Il cambiamento di rotta dei Moving Mountains da Pneuma a Waves mi ricorda molto il passo fatto ormai anni fa' dai Dredg, quando pubblicarono Catch Without Arms come successore di El Cielo (per chi non lo sapesse uno dei capolavori degli anni 2000). Anche in quel caso molti parlarono di involuzione e addirittura accusarono la band californiana di aver venduto l'anima al commercio. Probabilmente non era vera nessuna delle due interpretazioni, speriamo solo che i MovMou non facciamo la stessa fine.

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giovedì 17 febbraio 2011

Maserati: Odissea nello spazio

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Venerdì 4 febbraio, ore 17.15: sono in camper col mio gruppo, siamo quasi a Udine dove ci attendono gli amici A Cold Dead Body per una data al No Fun (qua il resoconto della serata, ogni tanto lasciate che me la meni anch'io). Arriva una mail che recita più o meno così: "Ciao ragazzi, sareste interessati ad aprire il concerto dei Maserati giovedì 10 marzo? Unica data italiana".

Ecco, il bello è che io avevo già deciso di andare a vedere i Maserati quella sera, avevo anche deciso che per loro avrei paccato nientepopodimenoche gli intoccabili Mogwai. Questo perchè il nuovo album del quartetto originario di Athens è una delle più belle sorprese degli ultimi mesi, una delle poche uscite cosiddette post-rock che a mio avviso val la pena sentire e risentire. Al contrario della maggior parte delle band i Maserati ci hanno messo dieci anni per sfornare la loro opera più bella e completa, altro che "Il primo disco è sempre il più bello".

Pyramid Of the Sun è una cavalcata spaziale senza fine, il disco perfetto per un viaggio Terra-Luna in sella ad un purosangue di razza: i ritmi sono frenetici, le sfumature sono millimetriche e numerosissime e il risultato è quello di una piacevole assuefazione. I synth e lo space-rock la fanno da padroni creando la perfetta colonna sonora per una versione 2011 di Supercar.

Triste nota di colore: a pochi mesi dall'uscita di questo album ha perso la vita il talentuosissimo batterista dei Maserati Jerry Fuchs, sfracellandosi al suolo nella tromba di un ascensore, una delle morti più assurde non solo della storia del rock, ma in assoluto (cliccate qui per leggere tutta la storia). L'album è ovviamente stato dedicato a lui.

Motivi per mancare giovedì 10 marzo al Magnolia di Milano? Neanche uno. Ah è vero, ci sono i Mogwai all'Alcatraz... che noia, no? :)

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venerdì 28 gennaio 2011

Partenza da Londra, scalo in Islanda e via in Messico

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E' di nuovo a causa del mio ego che mi ritrovo a scrivere di una band più che sconosciuta, per poter dire tra un anno "Io questi li ascoltavo quando voi eravate ancora lì a pettinar le bambole". Il gruppo in questione è inglese/islandese, si chiama Hello Mexico e all'attivo ha solamente un paio di EP e un singolo che "dovrebbe" (non si sa mai che finiscano come loro) essere l'antipasto del primo full-lenght previsto per il 2011.

Il seppur breve percorso degli Hello Mexico sembra per ora molto simile a quello di grandi band come Thrice e Brand New (ma anche Oceana): ragazzini urlanti con l'hardcore nelle vene che a poco a poco scoprono il gusto della melodia e dei delay. Butterei perciò nel pentolone i seguenti tag: emo, indie, alternative, prog e, perchè no, anche pop. Crossover? tecnicamente sì anche se ormai quest'etichetta viene usata come sinomino di nu-metal, mon dieu.

L'ingresso in formazione dell'islandesissimo Gulli Gunnarsson ha radicalmente mutato il suono della band donandogli le tipiche atmosfere del regno di Jonsi (soprattutto nell'ultimo singolo Sleeper); non è un caso infatti che oltre ai canonici strumenti si senta anche la presenza dell'amato glockenspiel. Della serie che aprirei un'etichetta solo per offrire un contratto a questi cinque talentuosissimi ragazzi.



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martedì 16 novembre 2010

Sognando gli Amusement Parks On Fire

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"Cos'è lo shoegaze??"
"No, eh si... mi sembra, insomma si potrebbe ipotizzare che lo shoegaze è una cattiva azione, cioè quando si dice... gli ha dato una gran shoegaze! ah si quando uno sciame d'api, ah no! è un piatto regionale abruzzese..."
"Un piatto regionale abruzzese... Ahahahah! Lo shoegaze è un genere musicale caratterizzato da una pioggia di melodie sognanti scatenata da un temporale di feedback di chitarra"

Prendendo spunto da una mitica scena di Fantozzi Contro Tutti ho cercato qui sopra di dare una definizione alternativa di shoegaze, uno dei "tag" (come sono 2.0) più misteriosi creati dagli addetti ai lavori alla fine degli anni 80. Al suo interno rientrano sicuramente gli Amusement Parks On Fire, quintetto inglese capitanato dall'istrionico Michael Feerick, una specie di mix tra Jonsi, Thom Yorke e Billy Corgan.

Il loro nuovo album, Road Eyes, cerca di portare su un livello più mainstream uno stile musicale da sempre relegato ai margini della grande industria discografica. E ci riesce piuttosto bene. Personalmente penso che gli APOF siano la cosa più simile (a livello emozionale, ma non solo) ai My Vitriol, una delle band più compiante degli ultimi 10 anni, che io abbia mai sentito. Per dare delle coordinate ancora più precise c'è anche una certa affinità con l'alternative rock dei Silversun Pickups e con il dream-pop degli M83.

Gli Amusement Parks On Fire hanno innegabilmente uno dei nomi più belli che io abbia mai sentito: fossi Roland Emmerich ci penserei seriamente per il mio prossimo film, pagherei per veder fluttuare nel cielo orde di ragazzini terrorizzati. Stasera gli mando una mail.

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venerdì 5 novembre 2010

Ci sono un australiano, un australiano e... i Civil Civic

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Ricetta del giorno: prendete un australiano, dategli una chitarra, un laptop e mettetelo a vivere a barcellona. Poi prendete un altro australiano suo amico, mettetegli in mano un basso Rickenbecker, un altro laptop e speditelo a Londra. Fate cuocere e poi godetevi il loro ultimo prodotto, Run Overdrive/Fuck Youth (scaricabile gratuitamente da qui).

Aaron Cupples e Ben Green hanno avuto la bella idea di formare i Civil Civic vivendo a 1500 km di distanza, avvalendosi delle possibilità offerte dal mondo d'oggi e sfruttando appieno la loro presunta attitudine nerd. Il risultato, tenendo conto che sono solo in due, è clamoroso: post-punk, math, electro sono i generi che mi vengono in mente per descrivere un mix di suoni che suona davvero innovativo, alla faccia di chi sostiene che ormai all'alba del 2010 non ci sia più nulla da inventare.

Il gruppo che viene in mente, ascoltando anche il precedente EP intitolato semplicemente 1, sono i supercompianti Death From Above 1979, il duo canadese che nel 2004 aveva fatto impazzire mezzo Regno Unito col masterpiece You're a Woman, I'm a Machine. Attenzione però, non sto dicendo che i Civil Civic siano una mera copia del combo di Toronto ma che potrebbero colmare un vuoto nel cuore di tutti noi.

Last but not least, i simpatici australiani sono stati scelti nientepopodimenoche dai 65daysofstatic per aprire la loro unica data italiana domenica 14 novembre al Tunnel di Milano. L'accoppiata promette scintille, chi non viene vale pochissimo.

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domenica 24 ottobre 2010

Lydia, gente che si sveglia vicino al mare

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Un paio di mesi fa stavo in chat con un mio amico che mi fa:
"Sentiti i Lydia, per me sono troppo emo ma a te piacciono sicuro".
Con parecchia diffidenza mi sono procurato Illuminate, il loro secondo album. I primi ascolti sono stati interlocutori ma, come ogni disco che si rispetti, ha iniziato a farsi apprezzare giorno dopo giorno. Ora, tre mesi dopo, è un album che ha abbastanza monopolizzato le mie playlist quotidiane.

La buona notizia è che NO, i Lydia non sono una band emo. Come per i già citati The Get Up Kids, non sono state avvistate frangette, ciuffe, eyeliner o quant'altro. I cuori spezzati invece fioccano come funghi: raramente ho sentito melodie più dolci di quelle che riescono a creare le due voci di Leighton e Mindy, le due anime del gruppo.
La brutta notizia è che SI, anche loro si sono in pratica già sciolti. Come gli amici Rinoa anche questa fantastica band proveniente dall'Arizona è attualmente in tour per dire addio a tutti i loro fan.

L'inizio della fine è stata la dipartita di Mindy White lo scorso marzo, anche in questo caso senza dare una reale motivazione. Neanche due mesi dopo è venuta a galla la verità: insieme a due ex membri dei Copeland la dolce miss White era già pronta a tornare sulle scene con una band nuova di zecca, gli States. Galeotto fu il tour che i Lydia affrontarono nel 2009 di spalla agli stessi Copeland, per la serie "da cosa nasce cosa".

Come regalo d'addio la band ha voluto comunque pubblicare lo scorso luglio il loro nuovo album, Assailants, un'opera che avrebbe potuto anche catapultarli nei giri che contano grazie al loro sound assolutamente assimilabile anche da pubblici dai palati meno fini, quelli che ascoltando i Muse e i Coldplay pensano di essere dei veri rocker (con tutto il rispetto per queste due ottime band). Ci è rimasto invece tra le mani un disco buono ma non eccelso, privo delle melodie al piano di Mindy, un vero e proprio incompiuto.

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